Devi fare uno sforzo, per andare oltre lo sforzo e arrivare allo stato senza sforzo
(Lester Levenson)
Ogni tanto incontro qualcuno che odia la disciplina, le regole, il metodo. Odia fare le cose sempre uguali, sedersi a meditare mezz'ora, fare Zhan Zhuang o Peng Qi guan Ding fa mezz'ora tutti i giorni, darsi delle regole, seguire dei principii. Trovo che quando la ricerca interiore diviene strutturata molti si infastidiscono preferendo cose più libere, creative. E hanno ragione. La pratica è noiosa e l'ego non regge mai la noia. L'auto-osservazione è noiosa. Praticare Zhineng Qigong 2 o 3 ore al giorno è noioso. Molti ex studenti, colleghi, o conoscenti si sono chiusi dietro un principio di 'spontaneità', affermando che tutto quel rigore interno richiesto dal lavoro su di sé non permette più la spontaneità ed allontana dalla vita 'reale'. Ma se guardiamo più da vicino questo problema vediamo un fatto molto importante. Quella che per molti è considerata libertà e spontaneità altro non è che l'adesione indiscriminata a una serie di istinti, impulsi, desideri dei quali abbiamo poco o nessun controllo. Quasi tutto quello che viene agito nella vita reale è agito da uno stato di inconsapevolezza nel quale si cerca essenzialmente un piacere\sollievo momentaneo più o meno lungo a quel senso di agitazione, ansia e vuoto che rimane, non visto, al di sotto della nostra attenzione cosciente. Quasi tutto quello che desideriamo e bramiamo viene fuori da programmazioni ricevute, da influenze culturali e più in generale da storie che ci raccontiamo da quando nasciamo a quando moriamo... e se potessimo veramente accorgerci quanto poco spontanea è la nostra spontaneità e quanto la ricerca del sentirsi meglio sia, alla lunga, un'arma a doppio taglio ci metteremmo immediatamente a cercare una soluzione. Ci sono due tipi di disciplina come mi ricordava una delle persone che mi ha letteralmente salvato la vita nel periodo più disastroso della mia esistenza. Quella che ci si impone o ci viene imposta per dovere, per un giudizio, o per un senso di colpa, e quella invece che viene scelta, che scaturisce spontaneamente da un bisogno profondo e che ci fa amare quella stessa disciplina. Il lavoro su di sé quindi non può essere imposto ne da sé stessi ne da qualcun'altro. Non potete fingere, se ci provate vi stancherete presto, e passerete ad altro come una delle tante cose che volevate spontaneamente provare a fare. Deve invece scaturire da una scelta che si fa quando si vede a quanti automatismi e infelicità ci lasciamo andare, quando si vede in maniera spietata che il proprio destino è ineluttabile se non si fa qualcosa per cambiarne le radici che sono nella sfocatura, nelle storie che racconta e nella nostra totale adesione ad esse. E quello sforzo che facciamo per andare oltre tutte le nostre tendenze inconsce, la ricerca della felicità, la cosiddetta spontaneità, la soddisfazione di ogni nostro piccolo bisogno e vezzo è uno sforzo che ci rende progressivamente sempre più liberi, autonomi e in connessione con un'altra mente che è sempre la nostra ma che se ne stava lì a sonnecchiare in attesa che ci rendessimo conto della sua flebile voce. E così magari un giorno ci renderemo conto che la felicità non è nelle cose, negli ottenimenti, nelle persone e negli eventi ma uno stato naturale al quale siamo chiamati a tornare.
Lo sforzo è necessario per poi poterlo trascendere. Poiché non è possibile per me trascendere qualcosa, se non ci si entra prima in relazione.
Nessun commento:
Posta un commento